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PSICOLOGIA E MEDICINA: si può curare solo il corpo o solo la mente?

Cosa accade se curiamo solo una parte di un sistema? Può funzionare, in maniera armonica, un organismo di cui non si tiene conto ogni suo componente?

E’ innegabile che l’uomo sia costituito da un sistema corpo-mente e che dall’unione di queste due parti scaturisca un’unità che è molto più della loro somma. Le variabili psicologiche e fisiche si affiancano, inoltre, a quelle ambientali e relazionali.

L’essere umano, dunque, è un sistema altamente complesso e ciascun individuo è unico nel suo genere. Nonostante le differenze, ogni uomo è accomunato dal funzionamento biochimico e dalla fisiologia del corpo, oltre che da processi e schemi mentali, per quanto riguarda la psiche.

La medicina tradizionale, sino a questo momento, si è concentrata sulle caratteristiche fisiche: si è basata sull’analogia di funzionamento d’organo e manifestazione dei sintomi per fornire a tutti gli uomini le stesse tipologie di cure. Per esempio, i farmaci che curano la polmonite sono gli stessi per ciascun individuo, come se non ci fossero quasi differenze tra i diversi pazienti. L’attenzione è data quasi esclusivamente al sintomo predominante e alla malattia; ci si è dimenticati dell’unicità dell’individuo, con le sue caratteristiche psicologiche.

La psicologia, d’altro canto, si occupa della mente, dei comportamenti, delle relazioni; spesso dimenticando che anche il corpo ha una sua memoria cellulare e un proprio linguaggio.

L’uomo, in quanto unità di corpo-mente, ha necessità di essere accompagnato nel suo percorso di guarigione da una medicina integrata che prenda in esame l’intero sistema.

La necessità di un’integrazione si palesa in tutta la sua evidenza se si considera l’enorme influenza che la mente ha sul corpo e viceversa. Comprendere il disagio emotivo che sta dietro ad un sintomo fisico diviene fondamentale, quando l’obiettivo non è raggiungere l’eliminazione di un sintomo, ma l’equilibrio psico-emotivo, prerogativa di una buona condizione fisica.

L’analisi e il sostegno psicologico, comunque, non dovrebbero riguardare il disagio psichico solo in caso di malattia, ma dovrebbero divenire una forma di prevenzione a sostegno del benessere. I campi di intervento sono molteplici, ma la gestione delle emozioni e dei conflitti dovrebbe essere alla base di ogni sistema educativo, a partire dall’infanzia, così come la gestione dello stress.

Le ultime ricerche di PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia), infatti, hanno evidenziato che l’incidenza di alti livelli di stress comportano squilibri ormonali con un’alta produzione di adrenalina e, nel caso di stress prolungato, di cortisolo, che interferisce con la produzione di serotonina. Ansia, depressione, disturbi del sonno: sono solo alcuni dei disturbi collegati. Lo stress cronico determina problemi sia a livello cardiaco (tachicardia, extrasistole, dolore al centro del petto, ipertensione, infarto), sia a livello polmonare (asma bronchiale, iperventilazione), sia a livello gastrointestinale (diarrea, stipsi, dolori, dispepsia, ulcera gastroduodenale, morbo di Chron), che a livello endocrino (influenza l’attività delle ghiandole endocrine periferiche come i surrenali, il pancreas, le reni e la tiroide).

E cos’è lo stress se non la reazione di adattamento a un cambiamento? La vita è cambiamento continuo, istante dopo istante; fare resistenza a tale cambiamento vuol dire soffrire. Ecco perché ritengo che la gestione dello stress possa essere considerata come un vero e proprio corso di sopravvivenza per il benessere e il mantenimento della salute.

Il fatto che una condizione di benessere derivi più da uno stato mentale che da particolari condizioni fisiche e ambientali è stato anche dimostrato attraverso un particolare esperimento scientifico[1] condotto, nel 1981, da Ellen Longer, docente di psicologia all’Università di Harvard, in cui ci si proponeva di analizzare la correlazione tra vecchiaia e stato mentale.

Lo studio ha coinvolto otto uomini di settant’anni cui è stato chiesto di vivere per cinque giorni in un edificio arredato solo con mobili, libri, riviste e oggettistica del 1959. Anche la radio e la televisione in bianco e nero trasmettevano solo musica e filmati di vent’anni prima. L’esperimento è stato ideato in modo da riportare i partecipanti indietro di ventidue anni, vietando ai volontari l’uso di specchi e foto recenti e chiedendo loro di parlare esclusivamente al tempo presente.

Prima dell’esperimento gli uomini coinvolti erano stati sottoposti a esami sullo stato di salute e sui riflessi mentali e fisici, mentre durante la prova sono stati trattati come se avessero effettivamente vent’anni in meno, chiedendo loro anche di sostenere sforzi fisici come il trasferimento dei propri bagagli. Al termine della prova gli esami di controllo hanno rilevato un notevole miglioramento della salute, dei riflessi e della postura.

E’ stato evidenziato, inoltre, che la tendenza a parlare del passato e la nostalgia aggravi lo stato di salute psico-fisica degli anziani, molti tra loro accomunati dalla difficoltà ad accettare il cambiamento e dalla falsa convinzione di non essere più in grado di poter fare le stesse attività del passato. Quanto è stato dimostrato possiamo dire che va al di là di ogni aspettativa, dal momento che il risultato arriva a sostenere che la vecchiaia sia solo uno stato mentale.

E’ innegabile, quindi, la stretta interconnessione tra mente e corpo. Agire sulla mente si è visto abbia un’influenza diretta sullo stato di salute: imparare ad adattarsi ai cambiamenti, ad accettare anche le fasi meno piacevoli come facenti parte di un processo naturale di alternanza di opposti, a sorridere di se stessi e a vivere con leggerezza, può essere in molti casi la migliore cura.

Attualmente nessuna medicina può ormai disconoscere le strette connessioni esistenti tra corpo e mente e tra stress (capacità di adattamento) e condizione di salute grazie anche ai più recenti studi di PNEI che hanno evidenziato la variazione dei diversi parametri in seguito a sollecitazioni emozionali di una certa intensità, sebbene in modo differente da individuo a individuo.

A tal proposito si distinguono 5 tipologie principali:

  1. le situazioni di aumentato stress di tipo esistenziale (lutti, separazioni, divorzi, pensionamento), problemi affettivi protratti e sovraccarico di lavoro con scarsa soddisfazione; possono avere sia un ruolo acuto (precipitante la malattia) che cronico sul lungo periodo (azione predisponente)
  2. le condizioni di stress emozionale acuto, intense, prodotte da eventi ritenuti importanti dall’individuo, che possono far precipitare malattie fisiche acute preesistenti e, più difficilmente, la comparsa di nuove malattie;
  3. la tendenza a sopprimere le emozioni favorirebbe il rischio di somatizzazioni
  4. una condizione prolungata di abbattimento del morale, in cui l’individuo si sente come spento, demotivato, fino a casi di vera e propria disperazione, può influire su varie malattie e sul loro decorso
  5. la mancanza di un adeguato supporto affettivo e il conseguente senso di solitudine espongono a un aumento del rischio di ammalarsi sul piano sia psicologico (disturbi psichiatrici) sia fisico (malattie somatiche)

L’importanza di agire sulla mente e sulle emozioni è evidenziata anche dalle ricerche sullo stress e sulla Sindrome Generale di Adattamento del dottor Selye, medico austriaco. Nei suoi studi ha rilevato che lo stress, da risposta fisiologica normale, diviene negativo (distress) quando viviamo una situazione come indesiderata, spiacevole, provando sensazioni d’insicurezza ed ansia. Tra le cause principali troviamo la frustrazione che deriva dal senso di contrarietà per i doveri e le responsabilità della vita quotidiana.

Nella maggior parte dei casi, la condizione che è considerata “normale” in questa società è in realtà una fase di resistenza da stress prolungata cui si sovrappongono episodi di reazione da stress acuta, come nel caso di una prova da superare o un litigio con il partner. L’effetto di tutti questi eventi non graditi è quello di mettere l’individuo nella “condizione di combattimento o fuga”, scatenando una tempesta nel sistema limbico che si traduce nel rilascio delle catecolamine (adrenalina e noradrenalina) inducendo un picco energetico. Nel frattempo, l’organismo ha una seconda reazione guidata dall’amigdala, che crea una situazione di eccitamento corticosurrenale che ha come effetto quello di mantenere un alto livello di attivazione del cervello emozionale.

Dolf Zillmann, psicologo dell’Alabama, trovò che uno dei fattori scatenanti universali della “condizione di combattimento o fuga” è la sensazione di trovarsi in pericolo, e questo sembrerebbe abbastanza scontato, se non fosse che il pericolo si è visto poter venire non solo da una minaccia fisica, ma anche e più spesso da una minaccia simbolica all’autostima o alla dignità della persona. Un individuo con problemi di insicurezza, autostima, incline al controllo e con idee precise e preconcette su cosa sia giusto e sbagliato sarà ovviamente poco tollerante allo stress e dunque più incline a manifestare malattie e sintomi correlati. L’integrazione tra medicina e psicologia è importante per il benessere di ciascuno, ma diviene di fondamentale importanza per questa tipologia di individui, emotivamente più vulnerabili, sia come prevenzione sia in fase di cura.

[1] Fonte: La capanna nel silenzio, http://lacapannadelsilenzio.it/ritorno-al-passato-_-lesperimento-antiorario-di-ellen-langer/

LA FIGURA DEL NATUROPATA

Cosa può fare un naturopata? Come può contribuire alla salute e benessere di un individuo? La Naturopatia è l’arte di guarire attraverso tutto ciò che è naturale. E cosa c’è di più naturale che rispettare i principi che regolano l’equilibrio fisiologico del corpo e della mente? L’uomo è un complesso sistema di corpo, mente e spirito; un agglomerato di sensazioni ed emozioni; un intreccio di relazioni ed esperienze. Ciascun individuo è memoria cellulare e psichica. Cosa può fare dunque un naturopata se non sostenere l’uomo nella sua ricerca di equilibrio, ogni qual volta lo perde a causa di un evento stressogeno interno o esterno? Un naturopata, da questo punto di vista, può essere paragonato a un giocoliere alchemico che con maestria potenzia i punti deboli partendo dai punti di forza presenti in ciascun sistema-uomo: che sia attraverso il corpo o la mente poco importa, ciò che conta è rinforzare e stimolare le naturali capacità di auto-guarigione del corpo e sostenere l’individuo mentalmente ed emotivamente. Tre livelli, organico, psichico ed emozionale, perfettamente integrati tra loro, in continuo divenire per il raggiungimento del proprio equilibrio dinamico.

Tra i principali obiettivi della naturopatia vi è, dunque, quello di stimolare la vitalità dell’individuo, potenziandolo in maniera naturale e non invasiva per risvegliarne la capacità di auto-guarigione. Questo, in effetti, è il primo principio su cui si basa tutta la filosofia naturopatica: Vis medicatrix naturae ovvero la fiducia nel potere di guarigione della natura. Il corpo ha una capacità innata di guarire da sé, se non ostacolato da uno stile di vita errato come una dieta alimentare non idonea, ritmi eccessivamente stressanti, un’attività mentale caratterizzata da emozioni negative e travolgenti, scarso movimento, assunzione di sostanze tossiche, tra cui anche quei farmaci non strettamente necessari. Un naturopata senza tale fiducia potrebbe farsi distrarre dal sintomo e non avere la pazienza necessaria per arrivare al riconoscimento e alla rimozione della causa da cui ha avuto origine. Quest’aspetto rappresenta il secondo importante principio di base della naturopatia: Tolle causam ovvero identificare e trattare la causa.

Per identificare l’origine del disagio, il punto  di partenza di ogni indagine naturopatica, è la valutazione delle condizioni generali di salute psico-biologica e dell’energia vitale del soggetto attraverso un’anamnesi svolta con l’aiuto di tecniche diagnostiche come l’iridologia, la riflessologia plantare e un approfondito colloquio attraverso l’ascolto consapevole. L’indagine esplorerà il vissuto personale del paziente dal punto di vista emozionale, relazionale e organico prendendo in esame la funzionalità dei diversi apparati d’organo (circolatorio, respiratorio, digestivo, urinario, nervoso), il livello del sistema immunitario, i sovraccarichi tossinici e le diverse intolleranze, il terreno costituzionale e orto molecolare tra cui vitamine, sali minerali, oligoelementi.

I trattamenti naturopatici, saranno differenti per ciascun individuo, ma tutti, per essere tali devono rispondere a un altro importantissimo principio: non nuocere al malato (Primum non nocere) ovvero occorre utilizzare metodologie e prodotti i cui effetti collaterali siano nulli o minimi.

L’obiettivo, non mi stanco di ripeterlo, è sempre quello di ripristinare l’equilibrio attraverso la stimolazione della capacità di auto-guarigione del corpo.

E’ facilmente comprensibile che questo non sia un risultato ottenibile limitandosi a sopprimere il sintomo; ancora meno ottenibile se s’inducono ulteriori squilibri, a causa degli effetti collaterali dei rimedi utilizzati. Se l’organismo, inoltre, è intossicato non sarà in grado di rispondere efficacemente ad alcun trattamento, se prima non si favorisce l’eliminazione delle tossine accumulate. Ecco perché, in tali casi, è sempre consigliabile un programma di disintossicazione, prima di procedere con gli opportuni rimedi richiesti dal caso.

Ritorniamo alla domanda iniziale: cosa fa, dunque un naturopata se non si occupa del sintomo? Abbiamo visto che si occupa degli squilibri al livello organico e psichico da un punto di vista bioenergetico e olistico ovvero si occupa dell’individuo nella sua globalità.

Questo vuol dire che lo accompagna nel suo percorso verso una nuova condizione di benessere, ma per poterci riuscire deve conquistare la sua fiducia al punto da indurlo a cambiare comportamenti e abitudini radicate nel tempo.

Non è semplice, infatti, chiedere a qualcuno di modificare il proprio stile di vita: si può fare in modo corretto e non invasivo, solo se si è compreso cosa voglia dire educare, parola che viene dal latino “educere” ovvero tirar fuori. Anche in quest’accezione, dunque, per il naturopata non è possibile standardizzare, dal momento che educare vuol dire portar fuori ciò che ciascuno ha dentro, partendo da quel nucleo unico e personale.

Il principio rimane valido per tutti: educare per rendere l’individuo indipendente e consapevole nel mantenere il miglior livello di salute e benessere per lui raggiungibile.

In questo senso il naturopata è un formatore e, in quanto tale, il suo campo principale d’azione dovrebbe essere la prevenzione. Purtroppo questo non è sempre attuabile, dal momento che non si è ancora diffusa una cultura, tale per cui, si fa ricorso alla naturopatia per conservare la propria salute, ma molto spesso si approda come ultima risorsa, quando ormai, anche la medicina ufficiale non ha trovato cure oppure non offre altre soluzioni.

Questo vorrebbe essere uno spunto di riflessione per promuovere su larga scala la naturopatia come stile di vita da seguire sin dalla più giovane età, al fine di preservare la condizione di salute di ciascuno.

Se “prevenire è meglio che curare” possiamo dire che “una dose di naturopatia al giorno, toglie il medico di torno”.

Relativamente ai trattamenti e alle tecniche specifiche il naturopata può spaziare su più fronti: dalla trofologia e diete alimentari, ai consigli di prodotti ed integratori che non richiedono prescrizione medica e può utilizzare diverse tecniche non invasive di riflesso- stimolazione o manuali.

In base alla sua preparazione ed esperienza si può occupare di pratiche molto varie:

  • iridologia
  • riflessologia
  • posturologia
  • aromaterapia
  • bioenergetica
  • cromoterapia
  • idroterapia
  • floriterapia
  • pranoterapia
  • Kinesiologia applicata
  • posturologia
  • ayurveda
  • musicoterapia
  • massaggi
  • tecniche di rilassamento
  • tecniche di meditazione
  • tecniche di comunicazione
  • tecniche corporee
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